Perchè dalle crisi nascono le migliori opportunità di crescita

Cosa ci ha insegnato la crisi del 2008? Certamente che chi guida una azienda è chiamato ad anticipare una vasta gamma di opzioni. La resilienza rispetto a una serie di scenari è più importante di una previsione e di un piano di recovery specifico

Nel 2008 il gruppo finanziario americano American Express reagì rapidamente alla crisi che di lì a poco avrebbe travolto Lehman Brothers e altre banche e assicurazioni. Lo fece con un aggressivo taglio dei costi, avvenuto principalmente disinvestendo da alcune attività non-core. Lo stesso anno, Amex indirizzò la propria strategia di sviluppo verso una profonda e radicale trasformazione digitale.

I risultati sono stati impressionanti: il titolo da allora è cresciuto di oltre il 1000%. Questo è uno degli esempi virtuosi di società che hanno saputo navigare con successo momenti di crisi. Secondo uno studio di Boston Consulting Group su un campione di 5.000 imprese americane, nella fase recessiva degli ultimi cinque cicli economici il 14% delle imprese è riuscito ad aumentare il fatturato di oltre il 10% e l’utile del 7% a fronte del 44% delle imprese che invece hanno diminuito fatturato e utile (rispettivamente del 28% e del 14%). I numeri evidenziano che per alcuni è stato possibile resistere e alle crisi e, addirittura, trarne vantaggio.

Come hanno fatto? In primo luogo investendo e non resistendo passivamente, ovvero non limitandosi a reagire ai colpi della crisi. A puro titolo esemplificativo, se la crisi evidenzia la caduta del mercato in Spagna un conto è chiudere le attività in Spagna e basta, diverso è chiudere in Spagna e contemporaneamente aprire altrove. L’esempio non è casuale perché il ridisegno e il potenziamento dell’export è stata una delle aree di maggior impatto positivo sull’uscita dalla crisi (anche dalle ultime). Sempre guardando all’esperienza del 2008, il panico portò due terzi delle imprese americane a ridurre i costi, licenziando, tagliando e chiudendo intere linee di business senza però, anche nel 2009, avere riequilibrato la struttura aziendale assumendo, potenziando e aprendo in altri settori di mercato o geografici. Una strategia in molti casi miope.

Al contrario, un terzo delle imprese americane – a partire dal 2008 – ha attivato procedure “attive” ovvero ha aperto nuove linee di business, approcciato nuovi mercati, aggredito commercialmente concorrenti storici. E non si sono limitate a questo: hanno anche alzato la soglia di attenzione verso operazioni di M&A approfittando dei prezzi più bassi, hanno gestito crediti e debiti in modo più aggressivo per proteggere il flusso di cassa. Più di tutto hanno rinnovato il management e ridisegnato l’organizzazione secondo una prospettiva digitale che per definizione è profondamente innovativa.

Di primaria rilevanza anche il fattore tempo. Sottovalutare l’urgenza è fatale, mantenere una prospettiva di lungo periodo è fondamentale. Sempre nel triennio 2007-2009, fu grave l’errore di molte imprese americane che, di nuovo secondo l’indagine di BCG, si concentrarono su azioni di breve termine anziché iniziative di lungo termine. Il già citato panico di quella fase, per esempio, fece dimenticare che licenziare su due piedi la linea di management significava punire forse i colpevoli ma lasciava l’organizzazione senza guida nella fase più critica. Inoltre abbiamo osservato che nelle situazioni di rallentamento economico ripetere le azioni passate può risultare inefficace: ogni crisi ha origini e conseguenze diverse sia sul piano economico che sociale e richiede una analisi storica. Basti pensare ai cambiamenti che la rivoluzione digitale ha oggi messo in atto costruendo scenari imprevedibili solo 10 anni fa. Allo stesso modo non era prevedibile l’attuale debolezza e volatilità del contesto politico, in Europa in primis.

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