Il social recruiting amplia il ruolo di chi si occupa di selezione. Ecco come le risorse umane possono sfruttare il digitale per offrire un lavoro ai migliori candidati
The standard Lorem Ipsum passage, used since the 1500s
HOME ECONOMIA LAVORO
3 consigli per convincere i migliori talenti a lavorare per te
Il social recruiting amplia il ruolo di chi si occupa di selezione. Ecco come le risorse umane possono sfruttare il digitale per offrire un lavoro ai migliori candidati
La trasformazione digitale incide sui processi di assunzione in due modi: offre nuovi strumenti a sostegno della selezione (come le diverse piattaforme social su cui ci si può presentare e sistemi di intelligenza artificiale che filtrano le candidature) e modifica le competenze necessarienell’organizzazione, sia in termini di capacità tecniche sia in termini di esperienza e di attitudine mentale.
Secondo l’indagine annuale di Jobvite, che sviluppa software per il reclutamento, sul social recruiting, il 93% dei responsabili delle risorse umane utilizza i social per la selezione dei candidati più idonei.
Nel rapporto Linkedin recruiter sentiment Italia 2019 si legge che, secondo i responsabili italiani delle risorse umane, le competenze che mancano maggiormente ai professionisti italiani sono proprio le competenze in ambito tecnologico e di coding (36%), le capacità di problem solving (31%), la creatività (30%), l’abilità di gestire i tempi di lavoro in maniera corretta (28%), le competenze nell’ambito del web design (28%), la capacità di collaborazione (27%) e il senso di leadership (26%). Sembra quindi necessario che la selezione attraverso l’utile sostegno dei social sia accompagnato da filtri umani che sappiano leggere tra le righe dei curricula.
Se questa esplosione nell’utilizzo dei social potrebbe far erroneamente pensare a un ridimensionamento del ruolo del recruiter, questi strumenti possono invece espandere e arricchire la funzione del selezionatore, dicono Atta Tarki e Ken Kanara, rispettivamente amministratore delegato e presidente dalla società di consulenza Ex-Consultants Agency.
I responsabili del personale hanno bisogno di essere formati alle nuove competenze e sostenuti nella gestione della complessità legata agli strumenti a loro disposizione. Il nuovo ruolo porterà benefici sia in termini di qualità delle assunzioni sia di vantaggi a lungo termine fino a oggi poco esplorati. Ecco come (abbiamo sintetizzato in tre macro aree i cinque punti di Tarki e Kanara).
1. Imparare a fare le domande giuste
I consulenti mettono come primo punto quello di “aiutare i responsabili delle assunzioni a definire la strategia di reclutamento”, ma andando al nocciolo della questione potremmo dire che a monte di ogni strategia c’è la capacità di scegliere con chiarezza le domande da fare, a se stessi in quanto organizzazione o funzione, per evitare di indirizzarsi ai candidati sbagliati o di trasmettere e ricevere ambiguità nelle risposte.
Fondamentale è anche imparare a porre le giuste domande per evitare pregiudizi e per riuscire a contestualizzare la figura del candidato nella possibile situazione di lavoro. Laszlo Bock, ex senior vice president people operations presso Google, nel suo libro Regole di lavoro!, descrive come migliorare le interviste con domande situazionali, volte appunto a evitare i pregiudizi.
“La prima domanda che occorre farsi – spiega a Wired Simona Panseri, direttrice comunicazione e affari istituzionali di Google – è quale sarà il team allargato con cui il candidato avrà a che fare, su quale rete di competenze e processi produttivi impatterà il suo lavoro, sia in termini tecnici sia in termini di relazioni. La formazione del gruppo di selezione deve comprendere, oltre al diretto responsabile dell’assunzione, tutte le figure che potenzialmente vedranno condizionati, magari in futuro, i propri processi e i propri risultati. La negoziazione fra le diverse esigenze è un altro nodo che può sciogliersi ponendosi da subito le giuste domande all’interno del team”.
2. Fare azioni di marketing per acquisire i talenti
Come ormai non ci si può aspettare di aumentare il fatturato sperando che i clienti ti vengano a cercare sulla tua pagina web o social, così non ci si può aspettare che le migliori risorse sul mercato cerchino proprio te. Possono cercare delle caratteristiche e dei valori che appartengono anche all’azienda, e se si lavora bene con l’employer branding si può ottenere di farli gravitare anche intorno alle proprie offerte di lavoro.
Chi, però, in un mercato globale pensa che la strategia giusta sia aspettare quelli “che hanno consapevolezza dell’importanza del brand” o “che hanno voglia di lavorare”, rischia di lasciare alla concorrenza le risorse umane più qualificate o avere presto un’ emorraggia di dipendenti in cerca di aziende meno egocentriche. Il secondo e il terzo punto descritti dai consulenti parlano di “Fare in modo che i migliori talenti si candidino” e “Selezionare il meglio del meglio”.
Antonio Andreotti è direttore risorse umane, personale, organizzazione e sistemi informativi di Iren, azienda che sta affrontando diverse trasformazioni legate al digitale, fra cui un progetto pilota di smart working. Racconta Andreotti: “Gli abilitatori tecnologici necessari a una trasformazione digitale aprono una delicata ma necessaria questione di cambiamento culturale, che non è possibile se non c’è un cambio di mentalità. Nel recruiting cresce la consapevolezza che quando si incontra un candidato occorre vendergli l’azienda, non chiedere solo quello che lui/lei può offrire a noi”.
E aggiunge: “Iren sta intraprendendo una fase in cui lo smart working e il work force management toccheranno duemila unità sulle settemila impiegate in azienda. Un progetto di smart working complesso, se da una parte consente flessibilità alla persona nei tempi e nel luogo di lavoro, dall’altra prevede una capacità di coinvolgimento e di autodisciplina superiore, una leadership diffusa in cui ognuno, invece di sentirsi controllato, apprezzi la possibilità di muoversi più liberamente, ma sempre entro regole e confini che continuano a metterlo in relazione con i colleghi e le necessarie procedure organizzative. Il lavoro entra negli spazi di vita della persona, che vanno quindi conosciuti e rispettati per costruire quell’impresa a rete che si allarga a collaboratori esterni e startup”.
3. Costruire relazioni autentiche
Se inserire il nome di battesimo nella stringa di un messaggio omologato, non funziona più, cercare un contatto significativo è vincente. Le email personalizzate sono circa il 75% più efficaci di quelle generiche e i messaggi su Linkedin (se non sembrano spam) sono sei volte più efficaci di quelle via email.
migliori talenti sanno riconoscere un interesse sincero da uno simulato. Sanno anche smascherare presto qualità organizzative inesistenti. È inutile promettere a un candidato un’ambiente di lavoro aperto e dinamico, se non lo si può dimostrare neanche a breve, ad esempio prolungando il processo di selezione all’infinito. “Accompagnare i candidati alla linea del traguardo” e “Autovalutarsi” sono i due ultimi consigli di Tarki e Kanara.
Il recruiter può aiutare a impostare la selezione in modo da promettere solo quello che si può mantenere, oppure in seguito può aiutare a valutare e migliorare l’esperienza di chi è stato assunto (che sarà ambasciatore per i prossimi candidati) e a ricalibrare il modello di selezione. Esistono, per esempio, prodotti che aiutano a comprendere e sviluppare il potenziale manageriale
“La forza del nostro questionario attitudinale – spiega Samantha Marzullo, responsabile risorse umane della società di consulenza Open Source Management – non sono le singole domande, che a volte possono sembrare anche particolari e fuori dal contesto lavorativo, ma l’insieme delle stesse che ci permettono di comprendere il potenziale manageriale di un candidato e individuare il percorso di crescita a lui più adatto, così da portarlo al successo in azienda. Non esiste un modo corretto di rispondere alle domande del questionario. Anche una risposta all’apparenza sbagliata potrebbe infatti avvantaggiarti su una particolare caratteristica”.
Il ruolo del recruiter, quindi, diventa quello di affiancare i selezionatori aziendali in una lettura dei dati che tenga conto di ruoli e copioni,immaginando una sceneggiatura organizzativa in cui ogni presa di decisione (risposta a domande) attiva uno scenario in cui si intrecciano situazioni, persone e obiettivi.